Il Presidente, il Consiglio direttivo e i Soci tutti dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale "G. D. Pisapia", con commossa partecipazione, sono vicini alla famiglia del PROF. GIOVANNI CONSO, autorevole uomo delle istituzioni, illustre giurista e nostro Presidente emerito, da sempre Maestro indiscusso del diritto processuale penale, alla cui scuola si sono formate intere generazioni di studiosi.

 

 

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Qui di seguito il messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella:

Con profonda commozione ho appreso la triste notizia della scomparsa di Giovanni Conso, maestro di diritto e procedura penale, Vice Presidente del Csm, Ministro della Giustizia, Presidente dell'Accademia dei Lincei, Giudice della Corte Costituzionale e suo autorevole Presidente.
La vita di Conso è stata segnata, oltre che dalle altissime qualità di giurista, da una grande passione civica, sostenuta da rigore personale e spirito di indipendenza. I principi personalistici della Costituzione repubblicana, vicini alla sua formazione culturale, hanno guidato la sua azione ed il suo impegno diretto a inverarli pienamente nell'ordinamento e, in particolare, nel diritto penale.
Grazie alla sua cultura giuridica e alla riconosciuta integrità morale è stato protagonista dei lavori che in sede Onu hanno portato alla stesura e all'approvazione dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale.
Mitezza e spirito di libertà hanno sempre accompagnato la sua ricerca per mettere in relazione l'ordinamento con i cambiamenti culturali e sociali, nella fedeltà ai principi e ai valori radicati nella coscienza.
Sono vicino al dolore dei familiari di Giovanni Conso ed esprimo loro il cordoglio più sincero, che si unisce al deferente saluto delle istituzioni della Repubblica.

Roma, 3 agosto 2015

 

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MESSAGGI E RICORDI

 

da Mariano Menna (3 agosto 2015)

 

E' un giorno questo in cui tutti gli studiosi di procedura penale si sentono orfani.
Giovanni Conso con la sua statura di uomo integerrimo e di studioso ha rappresentato un faro indiscusso per la cultura processualpenalistica.
Al "grazie" per i grandi insegnamenti dei quali sono debitore al caro Maestro - come i miei colleghi - unisco - tra i tanti ricordi personali - quello legato ad un convegno svoltosi a Salerno in cui da giovane apprendista della materia fui lieto di sentire Giovanni Conso spronare i responsabili delle diverse scuole di procedura penale d'Italia affinché coltivassero i giovani virgulti che si affacciavano allo studio del processo
penale.
Allora, quello fu per me - come per tanti giovani studiosi della mia generazione - un indiscusso incoraggiamento ed oggi quello stesso monito rappresenta sempre ed anche per me un invito a fare con i più giovani quanto egli e chi mi ha avviato alla carriera universitaria hanno fatto per accompagnarmi negli studi e nella ricerca sul processo penale (pur tra le tante difficoltà che oggi più che un tempo si incontrano).
Ricordando poi che Giovanni Conso era un uomo di fede vorrei salutarlo in questo estremo istante ringraziando Iddio - come fece Agostino di Tagaste al momento della dipartita della sua genitrice - per avercelo donato.

 

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Da GUIDO PIERRO (5 agosto 2015)

Profondamente addolorato piango per la scomparsa di uno dei più grandi Maestri della Procedura penale.

 

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Da ANTONIO SCAGLIONE e GIUSEPPE DI CHIARA (5 agosto 2015)

Accanto alla limpidezza del magistero eccelso di Giovanni Conso, accanto alla statura dello scienziato che ha saputo riscrivere le coordinate del diritto processuale penale, dalle mura maestre dell’edificio ai meccanismi di dettaglio, c’è un profilo che si staglia netto all’orizzonte e che, nella sua luce, rende assolutamente unica l’esperienza umana di Giovanni Conso: la sua dedizione appassionata nei confronti delle generazioni più giovani, i cui riverberi si sono estesi a raggiera in ciascuno degli innumerevoli ambiti che ne hanno contraddistinto l’impegno instancabile.

Basterebbe riandare, con la mente, agli affreschi straordinari che, in ogni contesto convegnistico, Giovanni Conso tracciava nello splendore dei suoi interventi introduttivi e nella generosità abbagliante delle relazioni di sintesi: l’attenzione ai giovani presenti non era mai di circostanza, si articolava in rilievi di dettaglio, richiami di metodo, sottolineature di significato; nelle sintesi dei dibattiti, poi, i riferimenti al contributo delle voci più giovani indugiavano in ceselli, suggestioni, sfondi, suggerivano indirizzi sapienti, spesso occupavano, in climax, la parte conclusiva della relazione di sintesi, tracciavano chiose di metodo, valorizzavano la linfa più giovane come ricchezza di una scienza che, nell’ascolto reciproco e nel dialogo, sa rinnovarsi e si rinnova.

Su una non diversa lunghezza d’onda si collocano gli “Studi di diritto processuale penale”: nel loro imponente evolversi, nutriti – basta scorrere la galleria dei titoli e il florilegio degli autori - dal dialogo fecondo tra le voci più autorevoli e la promozione della Scuola più giovane, gli “Studi” documentano la storia della ricerca processualpenalistica in Italia nella stagione che si inarca tra la metà del Novecento e gli anni più recenti. V’è, d’altronde, nell’esperienza degli “Studi”, un altro piano, meno appariscente in superficie, che ha lasciato segni indelebili, professionali e umani: qualsiasi studioso che abbia avuto l’onore di pubblicare nella Collana ricorderà i mille colloqui telefonici, gli appuntamenti, le conversazioni personali a margine dei convegni o nello studio di Palazzo della Consulta, rivivrà il calore generoso con cui ogni dettaglio era discusso; e riandrà al rispetto umano profondo, alla cordialità sorridente, al tratto delicato che, in Giovanni Conso, mai disgiungeva - tanto in lui che nella sua considerazione dell’interlocutore - l’uomo di studio dall’esperienza umana, amorevolmente vigile nei chiaroscuri dei colori pastello…

V’è, nelle ‘Lyrical Ballads’ di William Wordsworth, una scintilla di adamantina bellezza, che suona “The best portion of a good man’s life: / his little, nameless, unremembered acts / of kindness and of love”: la parte migliore di un uomo buono è formata da quei suoi piccoli gesti di gentilezza e d’amore, di cui non si conosce il nome e non si serba memoria, nel loro essere nota singola di una più vasta polifonia. Così, su questa lunghezza d’onda, la scuola processualpenalistica di Palermo, con tutti i suoi giovani, desidera ricordare Giovanni Conso, additandone la ricchezza umana e la sapienza generosa alla mente e al patrimonio di emozioni di tutti noi, di coloro che si stanno formando, di chi si formerà in futuro.

 

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DA GLAUCO GIOSTRA

 

Carissimi colleghi,

non potendo molto probabilmente essere con voi a Cagliari il giorno in cui ricorderete il mio caro Maestro, mando la paginetta scritta in occasione del suo funerale e che non ho avuto la possibilità di leggere in quella tristissima circostanza (9 settembre 2015)

 

Il Professore ora mi direbbe: per favore, non dire nulla, non disturbarti e non disturbare. Avete tutti tanto da fare. Mi sono soltanto allontanato come moltissimi altri.

Disobbedisco, per l’ultima volta abusando dell’affettuosissima pazienza con cui ha sempre guidato prima e accompagnato, poi, i miei passi. Disobbedisco, non per esprimere il mio dolore di allievo orfano, che intendo custodire gelosamente dentro di me, insieme ai tanti ricordi di lui. Disobbedisco, perché mi preme dire che non è scomparso soltanto un illustre giurista, un grandissimo Maestro, un importante uomo delle istituzioni. Si congeda da noi un mondo ancora anacronisticamente abitato da premurosa sollecitudine per l’altro, da squisito tratto umano, da religioso senso del dovere, da rispetto e amore per la cosa pubblica. Solo chi non lo conosceva bene può pensare che questa sia facile retorica da commiato.

Ho una folla di fotogrammi che preme per testimoniare di questa persona straordinaria, gentile e perbene, grande ed umile, che ignorava l’arroganza e la supponenza. Tra i primi a riaffiorare, alcuni di minuta quotidianità, ma non meno emblematici. Quando, sconosciuto studente di provincia, entrai nella sua stanza all’Università per chiedere la tesi, si alzò, mi venne incontro e mi fece cenno di sedere sull’unica poltrona, mentre lui si acconciava su una sedia malmessa. Alle mie rimostranze, mi spiegò con cortese fermezza che ero un suo graditissimo ospite e mi invitò a parlare di me, della scelta della procedura penale, del mio acerbo futuro. Grazie, una volta tanto, alla numismatica immobilità delle cose universitarie, quella poltrona è ancora lì, nella stanza che il destino ha ora voluto assegnarmi, forse per ricordarmi la differenza che passa tra docente universitario e Maestro.

Molti anni dopo, il Professore venne a Macerata per inaugurare il mio corso di lezioni. Quando, avendo appreso che il giorno prima aveva avuto un lutto in famiglia e che aveva viaggiato la notte in pullman per raggiungere Macerata, gli chiesi sbalordito “ma perché, Professore?”, mi rispose con disarmante semplicità, quasi fosse sorpreso dalla domanda: “te lo avevo promesso”.

Ancora ricordo ciò che mi riferivano, increduli, i suoi collaboratori quando era Ministro della Giustizia. Penso, ad esempio, alla sua preghiera di far recapitare indumenti di lana da lui acquistati per un detenuto che gli aveva scritto di avere freddo. O alla sua abitudine, uscendo quasi sempre buon ultimo dal palazzo di via Arenula, di spegnere le luci lasciate accese negli uffici.

Non ignoro, né voglio sottacere, che quell’esperienza di Ministro gli ha di recente procurato una sconcertata, profonda amarezza. Ma io non ho dubbi. Sebbene di fronte a ogni problema il mio Parlamento interiore si divida spesso a metà, in questo caso sempre, e sempre all’unanimità, mi ha dato il medesimo responso: il Professor Conso può aver certo commesso errori, ma mai, MAI, può aver agito perseguendo fini diversi dall’interesse della cosa pubblica.

Era un uomo sempre più a disagio con i modi disinvolti, chiassosi, cinici e volgari di questa nostra società; mentre è questa nostra società che si sarebbe dovuta sentire a disagio al cospetto di un uomo così.

Ci ha appena lasciato e già abbiamo una forte nostalgia di lui e di un futuro, oggi improbabile, che gli assomigli.

Maestro, addio

Glauco

(5 agosto 2015)

 

 

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Da ALFREDO GAITO (pubblicato in Archivio Penale, maggio-agosto 2015, fascicolo 2)

 

Ricordo di Giovanni Conso

 

A 93 anni, in una estate calda, ci ha lasciati Giovanni Conso. Non soltanto un professore di rango, ma un vero Maestro (meglio: il mio Maestro) come non se ne vedono più da troppo tempo. I colleghi, gli amici, gli allievi diretti e quelli indiretti, le persone che hanno avuto il privilegio di studiare, di formarsi, di lavorare sotto la Sua guida e al Suo fianco ricordano, innanzi tutto, il Suo stile: semplice, umile, retto, serio ma sorridente, sempre sensibile alle opinioni altrui, indipendente e irriducibile contro ogni atteggiamento prevaricatorio o illegale. Oltre all’accademia, Egli ha servito con dedizione la Giustizia e ha onorato non solo il Consiglio Superiore della Magistratura e la Corte costituzionale, ma anche il Ministero della Giustizia e le istituzioni internazionali alle quali era stato chiamato. Ma i miei rapporti con Giovanni Conso non riguardavano il Conso uomo pubblico, Ministro o giudice costituzionale o vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura ovvero presidente dell’Accademia dei Lincei; per me Giovanni Conso è sempre rimasto il Maestro nell’accademia, il caposcuola, colui con il quale fino a pochi giorni prima della morte ancora mi confrontavo per la scelta ottimale di temi e collaboratori nella realizzazione di sempre nuove iniziative editoriali.

Dopo averlo conosciuto per averlo visto in una fortunata serie televisiva di inchieste giudiziarie di allora e sui testi consultati per l’elaborazione della tesi, ebbi alfine la fortuna di incontrarLo nel dicembre del 1974 pochi giorni prima di laurearmi nella Cattedra del prof. Giuseppe Sabatini, nell’Aula Rocco (io intruso,

ma curioso) mentre impartiva a giovani già laureati una lezione alla Scuola di specializzazione in diritto penale della Sapienza, illustrando gli aspetti problematici delle riforme al giudizio direttissimo introdotte dalla legislazione a singhiozzo di quell’anno; e mi permisi, con giovanile irruenza, di interloquire più volte, senza timore reverenziale perché il Maestro aveva la capacità di far sentire sempre a proprio agio l’interlocutore. Non sto a dire come e perché rimanemmo reciprocamente colpiti già in quel primo incontro, sta di fatto che Egli fin da subito mi volle coinvolgere nelle attività della cattedra di cui era titolare e mi avviò ai segreti e misteri della ricerca, trasmettendomi la Sua passione per la teoria generale applicata

al diritto processuale penale e portandomi a realizzare la prima monografia proprio sul tema che ci aveva visti a confronto in occasione del primo incontro: il giudizio direttissimo. Conservo ancora le pagine dattiloscritte delle disparate stesure del primo capitolo, recanti ancor oggi i segni sbiaditi dei Suoi rilievi vergati a mano con quell’inseparabile matita che noi discepoli ricordiamo bene. Insieme con la gioia di avere per molti anni lavorato accanto a Lui, di averLo frequentato, di averLo ascoltato in pubblico e in privato (sono storiche per me le Sue telefonate serali), resta tuttavia il rimpianto di una Sua progressiva ritirata dalla scena (per conseguenza non solo dei malanni dovuti alla salute ed alla età, ma anche per le critiche strumentali ed ingenerose su certe scelte politiche risalenti al periodo di Ministro della Giustizia).

Mi piace ricordare che Giovanni Conso fu chiamato a presiedere la Commissione dei plenipotenziari dell’ONU che ha approvato lo statuto istitutivo della Corte Penale Internazionale; e in tempi in cui i diritti umani sono princìpi che si proclamanoquasi per occultarne l’elusione che se ne fa in concreto, ricordarlo è un richiamo alla necessità che quanto si afferma sia poi effettivo. Certo è che, una volta di più, il Maestro ebbe un ruolo da protagonista, se è vero che la produzione scientifica, fino ad allora alquanto avara di opere di procedura comparata e sovranazionale ha di lì in avanti sperimentato ben altri e prolifici itinerari.

Processualpenalista raffinato e di rango, con le sue due monografie risalenti alla metà degli cinquanta (Il concetto e le specie d’invalidità. Introduzione alla teoria dei vizi degli atti processuali penali e I fatti giuridici processuali penali: perfezione ed efficacia), e con i serrati contributi nelle riviste dell’epoca, scandì l’apertura di una nuova era per lo studio della Procedura penale. Le Questioni nuove di procedura penale del 1959 sono state modello di scrittura e fonte di spunti per generazioni di studiosi e di operatori pratici della giustizia penale, così come i contributi in riviste poi raccolti nel volume Costituzione e processo penale una decina di anni dopo, sono stati determinanti per predisporre il terreno verso la trasfigurazione del processo inquisitorio in accusatorio temperato. Anche gli articoli sulla Stampa e altri quotidiani, ristampati per molti anni sull’Archivio Penale, riletti oggi si conservano vivaci e di scottante attualità.

Aveva la straordinaria capacità di rendere interessante anche la vicenda di cronaca apparentemente banale, evidenziandone i più nascosti ed insidiosi profili di criticità. Asciutto, essenziale nel pensiero, preciso fino alla pignoleria, mi ha insegnato rigore e coerenza, cioè l’opposto dell’atteggiamento oggi più diffuso. Se sono l’incoerenza ed il pressappochismo a caratterizzare, purtroppo, la nostra epoca, la dottrina più sensibile formatasi alla Scuola del Maestro ha l’obbligo di farsi carico di una opera di sensibilizzazione volta finalmente ad arginare il riproporsi all’infinito di una produzione normativa frutto di una mentalità chiusa, incapace finanche di “buttare un occhio” alle istituzioni di quell’Europa alla quale pure ci si vanta di appartenere.

Ho ancora nelle orecchie quel Suo slogan «la responsabilità è dei politici» che soleva ripetere in occasione delle Sue conversazioni sullo stato della giustizia penale: Lo ricordo come fosse ieri che lo applaudivo al Teatro Eliseo di Roma, sul finire degli anni ottanta, con Mariangela Montagna e Cristiana Valentini, allora giovanissime allieve (oramai affermate docenti) della piccola succursale perugina della Sua Scuola.

Il mondo accademico e l’avvocatura lo hanno ricordato a dovere, rendendo al Maestro il meritato omaggi

 

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Da ROBERTO E. KOSTORIS (16 settembre 2015 - in corso di pubblicazione sulla Rivista di diritto processuale).

 

 

 

1. Giovanni Conso ci ha lasciato serenamente la notte del 2 agosto. Con lui se ne va uno degli ultimi grandi maestri del diritto e un uomo di istituzioni ricoperte ai più alti livelli: membro del Consiglio superiore della Pubblica istruzione, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, giudice e poi presidente della Corte costituzionale, due volte ministro della Giustizia, presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, presidente della conferenza diplomatica istitutiva della Corte penale internazionale, presidente dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale. La nostra Rivista, di cui fu per lunghi anni condirettore, si inchina alla Sua memoria.

Se ne va un uomo di grande umanità, rettitudine e profondo senso del dovere e delle istituzioni. E se ne va certamente un pezzo di storia; la storia della Procedura penale degli ultimi sessant’anni, e, di riflesso, anche delle storie personali di molti di noi, che abbiamo avuto la ventura di essere stati accompagnati da lui o di averlo in vario modo incrociato durante il nostro percorso scientifico e accademico. Conso ci parla di un’epoca che aveva una concezione ancora quasi sacrale della ricerca e dell’Università, dove si dava peso alla sostanza scientifica e non ai suoi attuali succedanei numerico-statistici di invenzione ministeriale che, sotto l’apparenza di tutelarla, rischiano di svilirla e depotenziarla. In momenti come questi, dobbiamo essere consapevoli del patrimonio che la materia ha accumulato nel tempo; sapere che ciò è avvenuto in larga parte per merito suo ed essergliene sinceramente grati.

E’ veramente difficile tratteggiare il profilo di un uomo che è stato impegnato su tanti fronti, che ha ricoperto tanti ruoli importanti, che ha vissuto tante così variegate esperienze. Preferisco allora restringere dichiaratamente l’angolo visuale all’aspetto per noi sicuramente più importante: quello del Maestro.

 

2. Conso aveva raccolto intorno a sé una scuola formata da una vastissima schiera di allievi: di prima, di seconda, di terza generazione, diretti e acquisiti, provenienti, i primi, dalle sedi universitarie in cui aveva insegnato (Urbino, Genova, Torino, soprattutto, e Roma); sparsi, invece, i secondi nelle più diverse zone della penisola. E’ stata sicuramente una delle scuole più numerose nella storia delle discipline giuridiche. Merito di molteplici fattori. Anzitutto del suo carisma che catturava al primo incontro, e che si univa a una generosa disponibilità a seguire e incoraggiare tutti, a dedicare a tutti una speciale attenzione nella correzione – sempre minuziosa - degli scritti, nella formazione scientifica, ma anche nelle vicende umane: e per molti di noi quelle sue piccole attenzioni, quei gesti, quelle telefonate, talvolta davvero inaspettate, sono stati non meno importanti e preziose del suo magistero. Ma il dominio incontrastato di Giovanni Conso per un lunghissimo periodo sul proscenio accademico, il fatto di essere riuscito a catalizzare tante giovani energie, e a costituire per loro un punto di riferimento sicuro e ineludibile era anche dovuto ad altre ragioni.

 Fin dal conseguimento della cattedra universitaria, Conso aveva, infatti, perseguito un disegno lungimirante: quello di dare impulso, forma, organizzazione a una materia ancora troppo a lungo trascurata nell’evoluzione degli studi giuridici, ma come poche viva e palpitante, e che appena nel 1938 aveva ricevuto formale autonomia dal diritto penale nell’ordinamento didattico: la procedura penale. Ancora nel 1950 Francesco Carnelutti, che pure ad essa aveva dedicato gli ultimi scintillanti studi della sua lunga ed eclettica parabola scientifica, giungendo anche a redigere una antesignana bozza di nuovo codice, l’aveva definita “Cenerentola”rispetto alle più prospere sorelle maggiori: il diritto penale e il diritto processuale civile. Solo cinque anni più tardi, Giovanni Conso, che era nato sostanzialista alla scuola di Francesco Antolisei, ma che era divenuto ben presto processualista per scelta e per passione, la introduceva nei severi palazzi della dogmatica con due monografie complementari: “I fatti giuridici processuali penali” e “Il concetto e le specie di invalidità”. Era il segno di una emancipazione, di una svolta metodologica. La Procedura penale – o meglio, il Diritto processuale penale, come Conso preferiva denominare la materia per sottolineare come essa non si esaurisse in un insieme di forme, ma fosse dominata da valori e principi - poteva e doveva essere elaborata con gli strumenti della più raffinata analisi scientifica, all’epoca rappresentata dal metodo tecnico giuridico. Era la premessa indispensabile per far decollare una speculazione che si affrancasse dalle angustie dell’esegesi e si irrobustisse nel rigore del metodo. Il volume su “I fatti giuridici processuali penali”, che affrontava per la prima volta un tema di teoria generale come quello dei rapporti tra fatto storico, fatto giuridico, fattispecie e processo penale, secondo un piano di rigorosa ricostruzione sistematica, diventava così l’opera fondativa del nuovo corso. A questo approccio tecnicistico Conso rimase sempre fedele, proponendolo anche ai suoi allievi. I semi erano gettati e la messe fu ampia. E, per darvi più univoca caratterizzazione, Conso, oltre a favorirne la diffusione nelle prestigiose riviste di cui veniva allora chiamato ad assumere la condirezione, creava lo strumento adatto a contrassegnarne la precisa identità, fondando nel 1959 la collana di “Studi di diritto processuale penale” da lui raccolti, che avrebbe continuato ininterrottamente le sue pubblicazioni per più di un cinquantennio, ospitando le monografie di pressoché tutti gli studiosi più importanti della materia.

 

3. Al fervore scientifico della scuola corrispondeva poi una sempre più netta affermazione della disciplina sul piano accademico: e questo fu un altro grande merito di Giovanni Conso. Egli comprese subito come la floridezza di una branca del sapere non poteva essere disgiunta da una tenace difesa e da un rafforzamento della sua autonomia didattica e scientifica e da un aumento del suo peso specifico nel contesto universitario. Si fece dunque promotore culturale, adoperandosi efficacemente affinché si moltiplicassero i corsi e le sedi universitarie dove la Procedura penale potesse essere insegnata non più per incarico da cultori di altre discipline - di solito sostanzialisti - ma da professori di ruolo della materia. Ai tanti giovani desiderosi di cimentarsi in questa disciplina e di dedicarvi le loro migliori energie egli dischiudeva così anche una possibilità concreta di futuro. Senza quell’opera organizzativa tenace e instancabile la materia non avrebbe potuto aspirare al rigoglio che poi raggiunse.

 

4. Si diceva prima della fedeltà di Conso al metodo tecnico giuridico; ma occorre aggiungere che di quel metodo egli aveva recepito soprattutto il profilo del rigore e della logica sistematica, non anche quello della neutralità e della subalternità dell’interprete rispetto alle scelte normative, che tradizionalmente vi era connesso. E ciò essenzialmente sotto due profili.

 Anzitutto, perché Conso sviluppò ben presto una crescente sensibilità verso i valori costituzionali, che successivamente si sarebbe estesa a quelli convenzionali. Il che implicava di non restare ancorati nell’interpretazione al dato codicistico e quindi ai valori posti dal legislatore, ma di ritenere tutto comunque subordinato a principi più alti e non capricciosamente contingenti.

 E’ un percorso che Conso imboccava già con il volume del 1959 “Questioni nuove di procedura penale”, nel quale analizzava la riforma volta ad adeguare gli istituti del codice Rocco ai mutati assetti costituzionali. Che si accentuava nella raccolta di scritti “Costituzione e processo penale. Dodici anni di pagine sparse” del 1968, dove ricollegava ancora più direttamente la lettura del codice Rocco ai valori della Carta fondamentale. E che veniva ancor più marcato in quella svolta di “metodo” (un “avvenimento metodologico” lo aveva, infatti, subito definito Mauro Cappelletti) che si coglie in un suo saggio sulla natura giuridica delle prove penali – apparso nel 1970 proprio sulle pagine di questa Rivista – in cui, rivendicando per la prima volta alle prove penali una funzione di garanzia per l’imputato, proponeva un approccio interpretativo degli istituti processuali governato indefettibilmente dalla bussola costituzionale. Era un imput importantissimo. Una intera generazione di giovani studiosi – e non solo di suoi allievi – avrebbe, infatti, dato avvio a una delle più feconde stagioni di riflessione scientifica elaborando gli istituti del processo penale in un’ottica costituzionalmente orientata: pensiamo agli studi di Grevi sul diritto al silenzio e sulla libertà personale, di Nobili sui principi costituzionali del processo, di Amodio sulla motivazione, di Ferrua sul principio di oralità, di Illuminati sulla presunzione di innocenza.

 

5. Inoltre, lungi dall’essere un’asettica vestale dello ius positum, Giovanni Conso si è sempre dimostrato uno studioso fortemente impegnato in una prospettiva di politica del diritto. In particolare, in un’ottica di riforma.

Visse con passione la stagione dell’ingresso e dell’ampliarsi delle garanzie difensive in fase istruttoria, ma coltivò per anni la grande aspirazione ad una riforma integrale del codice. Riforma sofferta, a lungo incubata – partecipò anche in veste di Vicepresidente alla Commissione ministeriale redigente dal 1974 al 1980 – tra molte speranze, poi infrante dalla stagione del terrorismo e dalla conseguente legislazione emergenziale. Aspirazione, infine, realizzata otto anni più tardi in un contesto mutato, ma con un esito troppo precipitoso. E, di fronte a quel parto affrettato del primo codice dell’Italia repubblicana non preceduto dalle indispensabili riforme di contesto e da una sufficiente assimilazione da parte degli operatori, la gioia per il traguardo raggiunto non fece velo alla preoccupazione per i rischi che ne sarebbero fatalmente derivati. Se, come diceva, “indietro non si torna”, continuava, inascoltato, a denunciare i guasti e a indicare possibili rimedi alle distorsioni e alle perversioni che ben presto avrebbero contrassegnato l’accidentato percorso dei primi anni di vita del codice. All’accoratezza subentrò così la delusione. E questa produsse un effetto quasi straniante, portandolo ad incanalare i suoi interessi su terreni diversi, meno legati alle opache contingenze del momento. Indubbiamente, un certo distacco dalla militanza attiva di studioso se l’era imposto già da tempo in ragione del suo ruolo di giudice costituzionale, a cui dopo sarebbe subentrata anche la doppia esperienza ministeriale nei governi Amato e Ciampi. Ma, in ogni caso, la sua attenzione si era ormai rivolta alle prospettive sovranazionali e, in particolare, alle problematiche dei diritti umani. Una sorta di secondo amore, che doveva accompagnarlo per tutto l’ultimo tratto di strada, inducendolo – a un’età ormai avanzata, lui da tempo fuori ruolo - a caricarsi di nuove, faticose incombenze didattiche in una serie di corsi presso le più disparate università, che facevano a gara nell’offrirglieli. A suggello di questo suo profilo di studioso affacciato sulle prospettive transnazionali gli veniva affidato un incarico prestigioso: la presidenza della Conferenza diplomatica di Roma per la costituzione dello statuto di un nuovo organo competente a reprimere su scala mondiale i crimini internazionali: la Corte penale internazionale.

 

6. Nell’arco della sua lunga, operosa giornata, Giovanni Conso si fece carico anche di una serie di iniziative editoriali di grande importanza per la conoscenza del diritto processuale penale. La più nota è certamente rappresentata dal “Compendio di procedura penale”, manuale in uso in numerose sedi universitarie, alla cui cura volle associare l’amato allievo Vittorio Grevi, e, dopo la sua prematura scomparsa, anche la sua ultima allieva torinese Marta Bargis. Sempre con Vittorio Grevi aveva, inoltre, curato il Commentario breve al codice di procedura penale: quello del 1930 nei suoi ultimissimi anni di vigenza, e poi il suo corrispondente dallo stesso titolo, incentrato sul codice vigente, uscito in una prima edizione nel 2005 e in una seconda pochi mesi fa, con la condirezione di Giulio Illuminati. Ma a Conso si deve anche, tra le altre cose, la cura di una serie di edizioni del codice di procedura penale, in cui si ricostruisce articolo per articolo l’evoluzione di ogni norma nelle sue varie stratificazioni temporali. Un lavoro umile e certosino, ma di straordinaria utilità per l’interprete.

 

7. Vorrei infine concludere ricordando la grande capacità comunicativa che Giovanni Conso possedeva. Non solo nei rapporti interpersonali, ma anche nella diffusione pubblica del suo pensiero, attraverso lo scritto e la parola. Alla proverbiale limpidità della sua prosa si univa infatti anche una particolare efficacia nella trasmissione del messaggio, favorita da espressioni icastiche e parole evocative, pur al servizio di un’assoluta linearità della trama espositiva. Quanto alla parola, il pensiero non può non riandare soprattutto ai convegni degli anni settanta/ottanta. A Conso era tradizionalmente affidata la relazione di sintesi. Sapevamo tutti che era quello il clou del convegno e l’attesa era grande. Conso non la deludeva. Le sue erano davvero sintesi nel senso più pieno, completo, alto del termine. In fitto dialogo con le opinioni espresse durante i lavori, non solo dagli oratori più illustri, ma anche dagli interventori più giovani, talvolta anche sconosciuti esordienti – e Conso quelle opinioni se l’era appuntate una per una nel corso dei lavori a cui voleva essere sempre rigorosamente presente – le sue relazioni erano al contempo appassionate, brillanti, piene di spunti, di prospettive, di suggestioni. Insomma, piene di carica comunicativa. Ricordiamolo così, Maestro capace di fondere armoniosamente il suo pensiero con quello dei suoi interlocutori, ricercatore di ciò che unisce le menti degli uomini, non di ciò che le divide.

 

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Dall'editrice e dalla direzione della rivista Giurisprudenza italiana (17 settembre 2015)

 

In memoria di Giovanni Conso

 

Delle tante forme di partecipazione alla vita culturale e politica del nostro paese – Giovanni Conso, per limitarsi a poche indicazioni, fu vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, giudice e presidente della Corte costituzionale, ministro della Giustizia, presidente dell’Accademia dei Lincei – la ‘Giurisprudenza italiana’ desidera ricordare un dato in apparenza minore, e tuttavia a noi assai caro,  della sua vita di studioso. E ciò per la lunga durata e per la cura che all’impegno di condirettore del nostro antico periodico egli dedicò con le virtù che gli erano abituali, l’affabile signorilità dello stile  e l’intransigente rigore del comportamento, la raffinata sensibilità scientifica e la costante attenzione all’esperienza pratica, la solidità dell’impostazione concettuale e l’umana comprensione delle personali vicende implicate nel processo e nel faticoso cammino della giustizia penale. Appartiene alla diretta conoscenza e  all’ammirazione dei cultori del diritto nelle varie discipline la ricchissima produzione di Conso, che in maniera decisiva contribuì  alla nascita stessa e poi al progresso del moderno diritto processuale penale in una dimensione di originale pensiero e di altissima dignità. Ma in questa pagina, e con sentimento di commossa partecipazione al lutto della famiglia e della scuola, senza dimenticare la poliedrica personalità di Conso eccezionale giurista e austero rappresentante delle istituzioni, si vuole ricordare e sottolineare la generosa e costante collaborazione da lui prestata alla ‘Giurisprudenza italiana’ in veste di ‘condirettore’ umile, attento, scrupoloso: così assolviamo in minima parte un debito sincero di riconoscenza profonda e di affettuosa memoria. L’ingresso nella direzione, che allora annoverava figure del prestigio di Allorio, Antolisei, Bigiavi, Guicciardi e Trabucchi, risale al 1967; fu di Bigiavi l’iniziativa di cooptarlo (assieme a Rescigno), coinvolgendo il giovane e già noto giurista torinese in una ‘avventura’ umana ed intellettuale che per lunghi decenni lo ha visto testimone esemplare di una tradizione gloriosa e dell’assidua ricerca di meditate innovazioni.

 

 

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Marta Bargis  (28 settembre 2015)

 

Ricordando Giovanni Conso

 

Ho a lungo esitato prima di tratteggiare il mio ricordo personale di Giovanni Conso e mi sono domandata perché. Inizialmente ho supposto una difficoltà momentanea, dovuta alla profonda tristezza per la sua scomparsa, poi ho capito che la ragione vera era un’altra: ricordarlo implicava parlare non solo di lui, ma anche di me, ed ecco una ritrosia che mi pareva insuperabile. Alla fine, però, ho riflettuto e concluso che la vita di un Maestro del suo calibro si compone, come un mosaico, di molti tasselli, tra i quali le vite degli allievi ricoprono un ruolo importante.

Non intendo qui ragionare di Giovanni Conso illustre studioso e uomo di spicco delle istituzioni, bensì del mio Maestro, che mi ha accompagnato nella vita a partire dai primi anni settanta del secolo scorso. Dal folgorante impatto con il suo carisma di docente, che teneva appassionate lezioni di cristallina chiarezza, alla redazione della tesi di laurea, i cui capitoli il Professore leggeva scrupolosamente, segnando altresì le ripetizioni di vocaboli e le assonanze, agli illuminanti incontri per discutere di aspetti controversi. In seguito la frequentazione dell’Istituto giuridico torinese, le prime note a sentenza, i primi saggi e l’impegno per la prima monografia, pubblicata nel 1980 nella Collana “Studi di diritto processuale penale” da lui fondata nel 1959: a quest’ultimo proposito, le nostre esperienze – del Professore e mia – sono state del tutto peculiari. Erano tempi – da molti anni non è più così, con mio grande compiacimento – nei quali le giuriste incontravano ostacoli nel percorrere fino in fondo la carriera accademica e forse non venivano neppure incoraggiate a tentare. Di fronte alla mia ferma intenzione di scrivere la monografia, il Professore – magari lievemente sorpreso, tuttavia fiducioso – mi incoraggiò, e questo fece la differenza, per lui e per me. E se sono stata la prima processualpenalista a pubblicare in quella Collana, lo dico solo per la consapevolezza che Giovanni Conso seppe aprire una nuova via.

L’opera monografica ha costituito lo spartiacque: dopo, la collaborazione con il Professore, i seminari con lui a Torino, le monografie successive e le opere scritte insieme mi sono apparsi un naturale sviluppo, sebbene al principio – mentre lo aiutavo nei controlli delle note al suo Codice di procedura penale – la  battuta consueta fosse «Lei è come un uomo, anzi meglio di un uomo», e dovevo considerarla un complimento perché – siamo sinceri – era quello allora il termine di paragone. Posso testimoniare la sua gioia quando nel 1990 vinsi il concorso da ordinario (Marzia Ferraioli, allieva di A.A. Dalia, ed io siamo state le prime processualpenaliste a ottenere la cattedra): se il biglietto di congratulazioni – che ancora conservo – si riferisce a una «storica giornata», riconosco di buon grado che senza la risalente scelta di campo del Professore il traguardo non sarebbe stato raggiunto.  

Dunque, uno tra gli innumerevoli meriti di Giovanni Conso è stato quello di non operare distinzioni di genere, superando il maschilismo all’epoca ben radicato. La chiave di volta di questo indubbio progresso va secondo me ravvisata in alcune qualità caratteristiche del Professore, cioè il senso del dovere e la dedizione al lavoro: li pretendeva da sé, prima che dagli altri, ma se gli altri (uomini o donne, che importa) lo seguivano su una simile strada – talora non facile – la simbiosi avveniva, ed era per sempre.

Tra il mio Maestro e me è stato così, per sempre. Pur quando si diventa accademicamente “adulti” e si cammina ormai sulle proprie gambe, questa sorta di cordone ombelicale non si recide: si scrive da soli, senza sottoporre lo scritto in anteprima al Maestro, però la sua parola di apprezzamento rimane la più attesa e la più gradita. E in ogni caso, a lui ci si rivolge per chiedere un consiglio o per metterlo al corrente di eventi familiari: un’altra stupenda dote del Professore era infatti la partecipazione affettuosa ai momenti belli e ai lutti che costellano l’esistenza di ognuno di noi.

Giovanni Conso ha percorso un lungo cammino, ricco di soddisfazioni. Credo che l’affetto dei suoi allievi, diretti e indiretti, lo abbia arricchito e confortato nelle circostanze dolorose, come è accaduto nel 2010 per la prematura scomparsa di Vittorio Grevi, dalla quale il Professore è stato intensamente colpito.

 Purtroppo gli ultimi anni sono stati resi amari dagli eventi relativi alla sua attività di Ministro della giustizia; peraltro, chi lo ha conosciuto davvero sa che la integrità morale del Professore – sottolineata del resto dal Presidente della Repubblica Mattarella nel suo messaggio – non è mai venuta meno.

Proprio questi valori – integrità morale, senso del dovere, dedizione al lavoro, premurosa partecipazione alle vicende degli altri – rappresentano la mirabile eredità umana di Giovanni Conso.

Desidero concludere il ricordo del mio indimenticabile Maestro con un pensiero di immensa gratitudine per la signora Rita Conso, che è stata accanto al Professore per tutta la vita, rendendogliela felice e serena.

 

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Da Mario Chiavario

(4 agosto - 28 settembre 2015)

 

Vicepresidente del C.S.M., Presidente della Corte costituzionale, Ministro della giustizia: un cursus honorum di eccezionale e meritato rilievo, quello di Giovanni Conso, completato poi dalla prestigiosa Presidenza dell’Accademia dei Lincei.

Giurista fine e rigoroso, Conso ha forgiato generazioni di studiosi del processo penale con le sue opere scientifiche e attraverso la direzione di prestigiose riviste, da lui fondate o profondamente rinnovate, ma altresì attraverso un dialogo continuo con colleghi e discepoli diretti o indiretti. Senza trascurare i classici strumenti dell’esegesi e della costruzione dogmatica, della cui assoluta padronanza diede prove di prim’ordine già nei suoi lavori giovanili, seppe avviare e guidare una Scuola particolarmente impegnata nel dare risalto ai princìpi costituzionali e alla tutela internazionale dei diritti fondamentali della persona umana: due stelle polari, queste, che ne hanno caratterizzato anche l’impegno nelle Istituzioni.

Ma Giovanni Conso è inoltre stato grande pubblicista, come pochi capace di unire profondità di pensiero e chiarezza espositiva negli editoriali che per tanti anni gli sono stati affidati su “La Stampa” e su altri quotidiani italiani, riuscendo a far comprendere al lettore comune anche i più complicati problemi della vita giudiziaria e istituzionale del Paese.

Specialmente chi è stato suo studente, però, non può non ricordarne, in particolare, le impareggiabili doti di docente universitario (lo è stato per oltre quanrant’anni): le lezioni che sapevano essere trascinanti senza nulla perdere in profondità e nitore; lo scrupolo nel lavoro di esaminatore; la pazienza nella correzione delle tesi, da lui lette e chiosate parola per parola, con suggerimenti migliorativi, anche quando le verbosità e le ingenuità stilistiche (per non dire peggio) del laureando – e parlo per esperienza personale - avrebbero giustificato il limitarsi a mere stroncature …

Sobrietà, tenacia, senso del dovere: queste, alcune delle qualità di fondo, che talvolta lui stesso riconduceva alla sua “torinesità” d’origine e che peraltro - in particolare l’ultima - si alimentavano, in radice, anche da una fede fortemente vissuta che al tempo stesso lo aiutava a non irrigidirle in una rete di rapporti meramente formali per equilibrarle piuttosto con un’attenzione sincera e un’autentica condivisione per ogni evento e aspetto, lieto o triste, di coloro che gli venivano ad essere vicini.