Il Consiglio Direttivo dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale ritiene doveroso esprimersi sulla vicenda politica apertasi attorno alla prescrizione.
Intanto va osservato che la prescrizione è istituto né marginale né di peso circoscritto nella fisionomia del processo penale, tanto da incidervi con effetti forti, sia sul piano strettamente normativo, sia, e forse ancor più, sul piano dell’interpretazione dei contenuti legislativi. Al contempo, deve essere correttamente valutata l’incidenza di questa causa estintiva del reato sugli epiloghi procedimentali, dal momento che i dati forniti dal Ministero della Giustizia segnalano un’altissima percentuale di prescrizioni nella fase delle indagini preliminari, nelle quali il ruolo della pubblica accusa è dominante.
Ciò induce a serie perplessità sul modo, del tutto estemporaneo e asistematico, con cui la questione è stata posta e viene, dalle diverse parti politiche, affrontata. Va ancora una volta evidenziato che eventuali interventi di modifica della disciplina della prescrizione debbono iscriversi in una visione ben più ampia dei temi, ad essa correlati, concernenti la funzionalità del processo penale nel quadro dei principi fondamentali.
Il punto centrale, e prioritario, è il rapporto della prescrizione con il precetto costituzionale della durata ragionevole del processo (art. 111 Cost.), il quale prescrive che la decisione definitiva intervenga in tempi per l’appunto ragionevoli, e cioè anzitutto determinati così da non abbandonare le vicende giudiziarie a una sorta di sine die.
Il principio, nella scala dei valori costituzionali, tutela in primo luogo l’imputato, ma anche la vittima del reato e la collettività. L’imputato ha il diritto di non subire una soggezione indefinita al processo e di essere giudicato entro un lasso temporale congruo rispetto al reato: oltre il quale si profila il rischio dell’ingiustizia di giudicare un soggetto che, nella sua personalità, non è più lo stesso.
La proposta di troncare l’operatività della prescrizione dopo la sentenza di primo grado (non distinguendo, per di più, tra pronuncia di condanna e di assoluzione) non rispetta il principio costituzionale. La sua violazione è, in effetti, palese, in danno di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda giudiziaria e, nondimeno, della società.
Gli effetti indesiderati che possano derivare dall’attuale regime della prescrizione vanno fronteggiati in altro modo, facendosi carico, con visione sistematica, delle plurime disfunzioni operative del processo penale, da tempo e da più parti ampiamente segnalate. In questa prospettiva merita attenzione l’ipotesi – già coltivata in disegni di legge presentati nel recente passato – di prevedere accanto alla prescrizione del reato, una prescrizione del processo, vale a dire l’individuazione di un tempo massimo di durata dell’accertamento giurisdizionale.
 

8 novembre 2018


(prof. Oreste Dominioni, presidente)

(prof. Hervé Belluta, segretario)